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Claudia: l'eco-artigiana


Siamo arrivati al terzo appuntamento dedicato agli "esperti" (il primo con Cinzia, il secondo con Gloria), una nuova sezione in cui chiediamo a dei blogger, che noi riteniamo essere molto esperti in un determinato settore, di esporre le regole alla base del loro mestiere-passione in modo da farlo apprezzare e conoscere ancora di più nel mondo del web. Oggi vi vogliamo presentare, per chi ancora non la conoscesse, Claudia Dall'Agata di ArtefattiClod, che ci illustrerà la sua passione per il recupero creativo. 
Claudia è, a nostro avviso, una vera artista o, se preferite, una eco-artigiana, come ama autodefinirsi, che crea delle meraviglie partendo da ciò che comunemente viene considerato spazzatura. Da passione svolta nei ritagli di tempo, il recupero è ora diventato la sua professione perchè, come accaduto già a tanti, anche Claudia ad un certo punto della sua vita si è accorta che le cose non stavano andando come lei voleva e ha quindi deciso di cambiare, di reinventarsi. Oltre al blog Claudia ha un sito, su cui troverete molte delle sue creazioni e uno shop online in cui potrete acquistare le sue creazioni.
Ma ora vi lasciamo alla lettura del post che Claudia ha realizzato appositamente per tutti i lettori ed amici di Arredamento Facile.



Cosa significa per me recuperare.


Mi occupo a livello professionale di recupero creativo di scarti aziendali per dare nuova forma o funzionalità a tutti quei materiali che ancora integri o in buono stato vengono scartati dalle aziende per essere buttati via. L’obiettivo è quello di riuscire a creare oggetti e gadget per promuovere l’immagine, la mission e i prodotti delle aziende stesse, attraverso uno scarto che comunque li contraddistingue perché prodotto da loro lavorazioni. Certo è una sfida soprattutto in questo periodo di crisi economica, ma l’idea mi piaceva e soprattutto mi sembrava potesse essere qualcosa di innovativo!
Portachiavi ricavato da buste scartate dello stracchino.


Fin da bambina mi piaceva costruire cose con quello che trovavo in casa, negli anni ho provato diverse tecniche creative tramite corsi o in autoformazione ma è solo negli ultimi tempi che sono diventata una “recuperatrice di scarti seriale”!
Produrre con materiali di scarto è un’avventura affascinante, sai quando parti ma non sai quando e dove arrivi. Ogni atto creativo, secondo me, è un qualcosa che ti permette di esprimerti ma all’interno di una serie di vincoli. Vincoli che sono posti dal committente, dai tempi, dai costi, dalle nostre stesse capacità manuali e di pensiero e soprattutto dal materiale di cui si dispone. Il bello è riuscire a fare quadrare il cerchio tenendo conto non solo della funzionalità della creazione, che per me è importante, ma anche dell’aspetto estetico legato al design dell’oggetto anche se si tratta, anzi forse soprattutto, di scarti di lavorazione o post-consumo.
Un’altra questione che emerge quando si trattano questi tipi di materiale è che chi non ha mai avuto a che fare con gli scarti pensa che sia semplicemente un modo più economico di lavorare. Si crede che quello che costa sia solo l’attività manuale impiegata per realizzare gli oggetti. Io penso, invece, che procurarsi gli scarti non sia affatto un lavoro né semplice né economico.
Non lo è in termini di contatti, relazioni e conoscenze: lo scarto lo devi stanare! Non lo è in termini di tempo perché sarebbe più facile andare in un magazzino e comprare quello che serve per creare. Ammesso quindi che non si sia pagato nulla o molto poco per lo scarto, in realtà i costi per averlo sono dovuti al tempo impiegato e alle risorse spese per fare in modo che sia pronto per la lavorazione vera e propria. E non lo è nemmeno in termini di fatica fisica, perché gli scarti, una volta scovati, li devi trasportare, scaricare, caricare e devi fare tutto da sola. Non sei una cliente richiesta ma solo una persona che nel migliore dei casi da una mano a smaltire rifiuti e nel peggiore disturba un po’ la produzione!
Una volta individuati e recuperati gli scarti si passa alla fase della pulitura e della disinfezione se necessaria. E poi comincia il lavoro vero e proprio del recupero dello scarto “buono”, selezionando i pezzi migliori, riparando i più logori ecc… e infine si passa alla lavorazione vera e propria per realizzare il manufatto.
La fatica del reperimento degli scarti, ad esempio, l’ho vissuta per i teloni da barca da cui ho ricavato questa ed altre borse mare simili.
Borsa ricavata da teloni da barca.


Un’altra questione che mi sembra interessante e che mi trovo ad affrontare quando penso di realizzare qualcosa per un pubblico non di aziende ma di persone, è la riproducibilità del manufatto. Ovvero: quanti scarti del genere posso recuperare? Quanti pezzi riuscirò a produrre? E poi ancora quanto è possibile “serializzare” la produzione in modo che ciò che produco sia se non uguale, simile e riconoscibile all’interno di una stessa linea?
Quest’ultima domanda, ad esempio, me la sono posta quando ho realizzato una borsa da una giacca da uomo e mi sono chiesta se sarei stata in grado di crearne altre come questa che vedete da altre giacche. La risposta probabilmente è negativa, perché ogni giacca è diversa dall’altra e quindi difficilmente riuscirò a fare esattamente la stessa cosa. 
Borsa ricavata da una giacca da uomo.
Ovviamente si potrebbe tentare di realizzare una borsa che contenga solo qualche elemento ricorrente delle giacche da uomo, in modo da rendere più omogeneo il prodotto, come ad esempio le tasche, i colli, le maniche, ecc. Serializzare vuole anche dire produrre in maniera che, una volta creato un prototipo o modello, questo sia riproducibile facilmente e che ogni oggetto non rappresenti un pezzo unico. E’ chiaro che molte di queste questioni sono legate anche al fattore costi: quanto costa un manufatto unico realizzato a mano contro un manufatto realizzato a mano ma prodotto in modo seriale?
Mi rendo conto di aver sollevato un mare di domande che non sono la prima a pormi e non sarò nemmeno l’ultima. Domande a cui sto cercando di trovare delle risposte mano a mano che procedo nella mia avventura di eco-artigiana.
In chiusura di articolo, per non contraddirmi ne lancio un’altra: ma se invece di riciclare cose che si gettano cominciassimo anche a riaggiustarle magari in maniera creativa?
Buon recupero creativo a tutti!




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